La partecipazione al rischio d’impresa da parte dell’associato caratterizza la causa tipica dell’associazione in partecipazione. Lo ha affermato la Cassazione, con sentenza 21 febbraio 2012, n. 2496.
Come noto, con il contratto di associazione in partecipazione, relativamente a cui è possibile vedere questa guida su Guidelavoro.net, una parte attribuisce ad un’altra una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto, che può consistere in apporto di capitale oppure di una prestazione lavorativa.
Il contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell’associato si distingue dal contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata ai risultati ed agli utili dell’impresa in funzione della partecipazione dell’associato al rischio d’impresa in quanto, a differenza del lavoro subordinato in cui il rischio ricade interamente sul datore di lavoro, l’associato partecipa sia agli utili che alle perdite. L’associato ha inoltre un potere di controllo sulla gestione economica dell’impresa: l’imprenditore associante deve infatti predisporre, a favore dell’associato, un rendiconto dell’affare compiuto e, in ogni caso, un rendiconto annuale della gestione qualora la stessa si protragga per più di 1 anno (art. 2552, co. 3, c.c.).
Nel caso in cui risulti accertata l’assenza di tali fondamentali requisiti, il rapporto, ancorché formalmente qualificato come associazione in partecipazione, deve essere qualificato come lavoro subordinato.