Si chiama così l’aggregato monetario per eccellenza nell’area dell’euro, perché costituisce l’indicatore centrale dell’analisi monetaria condotta mensilmente dalla Banca centrale europea al fine di valutare la presenza di eventuali minacce alla
stabilità dei prezzi nel medio termine (la quale rappresenta l’obiettivo istituzionale della politica monetaria nell’Uem).
L’aggregato monetario è un insieme specifico delle tante forme che può assumere la moneta in quanto mezzo di pagamento e riserva di valore. Nell’ambito dell’Unione monetaria, la Banca centrale europea ha definito M1 (aggregato monetario ristretto) come la somma di circolante e depositi a vista; M2 (aggregato monetario intermedio), come la somma
di M1 e di depositi con una durata prestabilita fino a due anni e depositi rimborsabili con preavviso fino a tre mesi; M3
(aggregato monetario ampio), come M2 più pronti contro termine, quote e partecipazioni in fondi comuni di investimento monetario, e obbligazioni emesse dalle istituzioni finanziarie monetarie che abbiano durata originaria inferiore a
due anni.
Prima della revisione della propria strategia di politica monetaria intervenuta a metà del 2003, la Bce aveva fissato al
4,5% annuo il valore di riferimento del tasso di crescita di M3 nel medio periodo. L’andamento di questo aggregato tende infatti a mantenere una relazione stabile con il livello dei prezzi nell’area dell’euro, cosicché un suo elevato tasso di
crescita per un prolungato periodo di tempo può talora suggerire in anticipo la presenza nel sistema economico di pressioni inflazionistiche idonee a mettere in pericolo la stabilità dei prezzi.
Dopo la revisione della strategia di politica monetaria, con la quale è stato tra l’altro rivisto il rapporto tra i due pilastri
in cui essa si divide (analisi economica e analisi monetaria), la Bce ha deciso di non indicare più formalmente un preciso tasso di crescita di M3 quale parametro di riferimento, ma di tenerne sotto attenta sorveglianza l’andamento, in modo
tale da rilevare eventuali pressioni inflazionistiche che sfuggissero anche alla più scrupolosa indagine di analisi economica. Secondo la Banca, infatti, vi sono shock potenzialmente destabilizzanti difficilmente ravvisabili con il solo impiego di un modello del settore reale e, d’altra parte, vi è un filone importante dell’economia – con il quale la Banca concorda – che dimostra come il tasso di inflazione sia strettamente correlato nel lungo periodo alla quantità di moneta in
circolazione nel sistema: maggiore questa, più alto quello. Poiché però compito della Banca è gestire la politica monetaria in maniera tale che il tasso di inflazione si aggiri nel medio termine intorno al 2%, si capisce perché essa consideri
tanto importante tenere sott’occhio l’andamento di M3, in sostanza la misura più ampia della quantità di moneta presente
nel sistema economico dell’Unione monetaria.