Sul mercato ci sono carte prepagate “potenziate” che fanno da conto corrente semplice. Sono dotate di codice Iban e, quindi, è possibile accreditare lo stipendio o la pensione, domiciliare le utenze, pagare le spese o prelevare contanti dagli Atm, inviare o ricevere bonifici in Italia e nei Paesi europei dell’area Sepa. Non pagano l’imposta di bollo di 34,20 euro prevista per i conti correnti (solo quelli con giacenza superiore ai 5.000 euro), ma non hanno neanche nessuna remunerazione per la “giacenza” (poco male, considerando che molti conti correnti non remunerano le giacenze e se lo fanno hanno tassi vicini allo zero). Non danno, però, la possibilità di avere un libretto degli assegni, di andare in rosso o di avere un deposito titoli. Tutte prerogative di un conto corrente tradizionale, il che significa che è uno strumento più adatto a chi ha esigenze finanziarie di base molto semplici o per chi non riesce ad accedere a un conto, come protestati. A differenza delle prepagate classiche, queste carte potenziate non possono essere emesse a favore di minorenni.
Abbiamo messo a confronto le prepagate potenziate con i conti correnti base, quelli low cost che le banche devono avere in portafoglio per legge, con servizi essenziali e costi contenuti. Per il confronto abbiamo scelto come profilo quello di un correntista con esigenze limitate. Il Migliore Acquisto è il Conto Tascabile di CheBanca! che costa solo 12 euro l’anno per il profilo preso in considerazione. Al secondo posto c’è la carta Kdue di Banco Popolare al costo annuo di 33 euro. I conti base offerti dalle principali banche italiane non sono competitivi: il costo va da un minimo di 24 euro all’anno (Banca d’Alba e Veneto Banca) a un massimo di 90 euro (Banca Popolare di Bari): quindi il doppio del Miglior Acquisto delle carte prepagate potenziate (vedi qui sopra). In più sul conto base, se la giacenza supera i 5.000 euro, si paga anche il bollo annuo di 34,20 euro (non si paga se il reddito Isee non supera i 7.500 euro). Costi davvero eccessivi per un prodotto semplificato, che dovrebbe favorire l’inclusione finanziaria. Una notazione che è stata fatta recentemente anche dall’Antitrust, che ha sottolineato come nel 34% dei casi molte banche abbiano prodotti con costi totali inferiori al canone del conto base.