Usciti dalla porta, sono rientrati dalla finestra? I voucher, i buoni istituiti per retribuire il lavoro occasionale, sono stati aboliti per poi essere reintrodotti a luglio, anche se con modalità d’uso differenti rispetto al passato. Questo particolare sistema di pagamento ha fatto capolino nel nostro paese nel 2003, ma di fatto il loro utilizzo è iniziato nel 2008. Nell’intenzione del legislatore, i voucher avrebbero dovuto servire per far emergere dal lavoro nero alcune prestazioni occasionali (per esempio, pulizie di casa, ripetizioni scolastiche, piccoli lavori di giardinaggio…). Negli anni successivi, però, il loro impiego è stato praticamente liberalizzato e quindi esteso a ogni tipo di attività, anche se con un tetto retributivo massimo annuo per lavoratore, passato dai 5mila euro fissati dalla riforma Fornero ai 7mila stabiliti dal Jobs act. Nella realtà, il ricorso ai voucher, aumentato esponenzialmente negli anni, in moltissimi casi è servito solamente a fare da “foglia di fico” a prestazioni per nulla occasionali e che quindi avrebbero dovuto essere regolarizzate con l’assunzione del lavoratore: il tutto ha così favorito l’elusione fiscale dei datori di lavoro. Aboliti prima del referendum Finiti nel mirino della Cgil, che aveva raccolto le firme per chiederne l’abolizione attraverso referendum, i buoni per il lavoro occasionale sono stati aboliti prima di affrontare l’esame delle urne (i vecchi voucher già richiesti possono essere comunque utilizzati fino al 31 dicembre 2017). Vicenda conclusa, dunque? Niente affatto, perché una nuova legge, dal 10 luglio scorso, li ha fatti resuscitare, con l’obiettivo di limitare gli abusi del passato. La nuova via è solo digitale Due sono le forme contrattuali previste: il “libretto famiglia”, che riguarda il lavoro occasionale retribuito da un privato, e il contratto di prestazione occasionale, quello pagato da un’impresa.
Il ricorso ai voucher è possibile solo attraverso la piattaforma digitale Inps dedicata, alla quale devono essere iscritti sia il lavoratore sia il datore di lavoro. Dal sito non è semplice riuscire a farlo: tra le vie più brevi c’è quella di scrivere nel motore di ricerca interno “prestazioni di lavoro occasionale” e, una volta arrivati alla pagina web cercata (per esempio “Libretto Famiglia”), cliccare alla voce “accedi al servizio”. Per registrarsi alla piattaforma bisogna avere il pin dell’Inps (che si può richiedere sempre sul sito); in alternativa, si può utilizzare l’identità Spid o la carta nazionale dei servizi.
Al libretto famiglia possono ricorrere solo persone fisiche, purché non nell’ambito di attività professionali o d’impresa. I voucher acquistabili telematicamente servono per retribuire solo alcuni tipi di prestazioni occasionali: lavori domestici (giardinaggio, pulizia o manutenzione), assistenza domiciliare (baby sitter e badanti) e lezioni private. Il libretto famiglia è composto da voucher da 10 euro: ogni buono è utilizzabile per pagare prestazioni di durata non superiore a un’ora. Di questi 10 euro, 8 finiscono nelle tasche del lavoratore, mentre il resto viene trattenuto per contributi previdenziali e assicurativi. Terminata la prestazione lavorativa (comunque non oltre il terzo giorno del mese successivo a quello di svolgimento del lavoro stesso), il datore di lavoro che già dispone dei voucher digitali, tramite la piattaforma digitale Inps o il contact center (803.164 da rete fissa, 06.164.164 da mobile), deve comunicare all’istituto di previdenza tutte le informazioni relative alla prestazione. Il lavoratore prima riceverà un sms o una email che lo avvisa della comunicazione del datore di lavoro. Poi, entro il quindicesimo giorno del mese successivo a quello in cui si è svolta la prestazione,
l’Inps effettuerà il pagamento a seconda della modalità scelta dal lavoratore stesso (per esempio, con accredito su conto corrente).
Il libretto famiglia, come anche la prestazione occasionale pagata da un’impresa, sempre per cercare di evitare storture e abusi nell’utilizzo, è sottoposto a limiti precisi.
Ogni lavoratore, nel complesso, può ricevere un compenso massimo annuo di 5mila euro (in ogni caso, un solo datore di lavoro non può pagarlo oltre 2.500 euro all’anno).
Lo stesso tetto vale anche al contrario: ciascun datore di lavoro, in totale, può utilizzare al massimo 5mila euro di voucher all’anno. J Sono previsti limiti anche per la durata della prestazione: in un anno (dal 1 gennaio al 31 dicembre) ogni lavoratore e ogni datore di lavoro possono ricorrere ai voucher fino a un massimo di 280 ore di lavoro complessive.
Altro limite: non può ricorrere al pagamento con voucher il datore di lavoro che, entro i sei mesi precedenti la prevista prestazione, abbia avuto un rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione coordinata e continuativa con il lavoratore.